Gente in sé non esiste, non lo possiamo definire, nel suo essere un mosaico

in cui le tessere cambiano posto e sfumatura ogni giorno, ogni istante, man mano che incrociamo un nuovo sguardo, scorgiamo un altro gesto, ci accorgiamo del diverso ritmo del passo di ciascuno di noi. Il colore della gente assomiglia, per certi versi, al bisogno di definirci attraverso gli altri, “saprò d’esser io” diceva la protagonista dei versi di Pavese, “gettando un’occhiata: / mi vedrò tra la gente”.

L’artificio fotografico di Mercadante ci mostra la realtà come se avessimo gli occhi pieni di lacrime per la

commozione di vivere, per l’entusiasmo di conoscere un nuovo profumo che

ci trasporta altrove o riconoscere un rumore abituale che ci fa sentire a casa. Ogni persona in questi quadri metropolitani ci è estranea e al tempo stesso appartiene al nostro comune destino: non vediamo il suo sguardo, non sentiamo le sue parole,

ma possiamo coglierne il colore.

Rem tene, verba sequentur.

Forse solo un uomo cresciuto in Calabria, al centro del Mediterraneo, poteva intuire la felicità di affidare tutto al colore, facedone il cuore della

convivenza, il luogo d’incontro dell’altro, la musica su cui danzare insieme

pur non conoscendo le parole della canzone, il sogno dietro l’angolo di ogni istante della quotidianità.

La macchina fotografica di Francesco Mercadante dipinge le strade dall’interno delle persone che le percorrono: guardandole possiamo forse intuire chi siano e intercettare cosa stiano facendo, ma con certezza possiamo sapere chi sono e chi siamo. Nelle vie affollate di Mercadante, sotto i suoi ombrelli, dietro la brillantezza dei colori che sembrano pretendere per sé stessi tutte le nostre energie, viviamo l’illusione molto concreta di poter entrare in un contatto intimo con la vita, di essere figli e padri

e madri, fratelli, sorelle, amici e amanti e per questo di riempirci gli occhi di lacrime e il cuore di passioni.

“Il mondo è a colori” dice Wim Wenders, “ma la realtà è in bianco e nero.”

Andrea Casoli